La morte di Mosè
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dovuta solo a lui. Pur non potendo esaudire la preghiera di Mosè,
permettendogli di condividere l’eredità d’Israele, l’Eterno non di-
menticò né abbandonò il suo servo. Il Dio dei cieli conosceva le
sofferenze che Mosè aveva provato; aveva notato il servizio fedele
compiuto in quei lunghi anni di lotta e di prove, e sulla cima del
monte Pisga, chiamò Mosè a un’eredità infinitamente più gloriosa
di quella della Canaan terrena.
Mosè fu presente insieme a Elia, il profeta che era stato traslato
sul monte della trasfigurazione, per portare al Figlio la luce e la
gloria del Padre. Così si adempì la preghiera di Mosè, pronunciata
tanti secoli prima. Egli rimase sulla “buona montagna”, all’interno
della terra del suo popolo, per offrire una testimonianza di colui sul
quale si fondavano tutte le speranze d’Israele. Questo è l’ultimo
episodio della storia di un uomo così onorato dal cielo.
Come Mosè stesso dichiarò a Israele, egli prefigurava il Cristo:
“L’Eterno il tuo Dio, ti susciterà un profeta come me, in mezzo a te,
d’infra i tuoi fratelli; a quello darete ascolto” (
Deuteronomio 18:15
).
Dio ritenne opportuno educare Mosè alla scuola dell’afflizione e del-
la povertà per prepararlo a guidare le schiere d’Israele nella Canaan
terrena. L’Israele di Dio, nel suo viaggio verso la Canaan celeste, ha
un Capo che, pur non avendo bisogno di prepararsi per essere una
guida, ha voluto diventare perfetto attraverso la sofferenza. Infatti
“... in quanto Egli stesso ha sofferto, essendo tentato, può soccorrere
quelli che son tentati” (
Ebrei 2:10, 12
). Il nostro Redentore non di-
mostrò nessuna debolezza o imperfezione; tuttavia morì per ottenere
per noi l’accesso alla terra promessa.
“E Mosè fu bensì fedele in tutta la casa di Dio come servitore per
testimoniar delle cose che dovevano esser dette; ma Cristo lo è come
Figlio sopra la sua casa; e la sua casa siamo noi se riteniam ferma
sino alla fine la nostra franchezza e il vanto della nostra speranza”
(
Ebrei 3:5, 6
).
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