Pagina 234 - Patriarchi e profeti (1998)

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Patriarchi e profeti
azione: Mosè seppellì immediatamente il corpo dell’egiziano nella
sabbia. Aveva dimostrato di essere pronto a difendere la causa del
suo popolo: egli sperava di vederlo insorgere per rivendicare la sua
libertà. “Or egli pensava che i suoi fratelli intenderebbero che Dio li
voleva salvare per mano di lui; ma essi non l’intesero” (
Atti 7:25
).
Non erano ancora pronti per la libertà. Il giorno seguente, Mosè
vide due ebrei che litigavano: uno di loro aveva chiaramente torto
e Mosè lo rimproverò. Ma quest’ultimo, contestandogli il diritto di
interferire, lo accusò del delitto. “... Chi ti ha costituito principe e
giudice sopra di noi?” gli domandò e aggiunse: “Vuoi tu uccidere
me come uccidesti l’Egiziano?” (
Esodo 2:14
).
Gli egiziani vennero ben presto a conoscenza del fatto, e la
notizia giunse al faraone stesso, con un resoconto notevolmente
aggravato. L’episodio venne sottolineato con forza: Mosè avrebbe
presto organizzato il suo popolo per rovesciare il governo e insediarsi
sul trono; il regno non sarebbe stato sicuro finché egli fosse rimasto
in vita. Il sovrano decise subito di far uccidere Mosè che, intuito il
pericolo, fuggì verso l’Arabia.
Il Signore lo guidò ed egli trovò rifugio presso Iethro, sacerdote
e principe di Madian, anch’egli fedele al culto di Yahweh. Dopo
qualche tempo Mosè sposò una delle figlie di quest’uomo e rimase
al suo servizio per quarant’anni, in qualità di guardiano del gregge.
Assassinando l’egiziano, egli era caduto nello stesso errore dei
suoi padri: cercare di compiere con le proprie mani l’opera che Dio
stesso aveva promesso di realizzare. Il Signore non voleva liberare il
suo popolo con la forza delle armi, come Mosè aveva pensato, ma
attraverso un potente intervento miracoloso, in modo che il merito
della liberazione potesse ricadere esclusivamente su di lui. Ma Dio
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si servì perfino di questa azione sconsiderata per realizzare il suo
progetto. Mosè, infatti, non era preparato alla grande missione a
cui era stato destinato; doveva ancora imparare le stesse lezioni
di fede che erano state insegnate ad Abramo e Giacobbe. Doveva
imparare a non contare sulla forza e sulla saggezza umane, ma
sulla potenza di Dio. Nella solitudine delle montagne, imparò molte
lezioni. Attraverso una vita dura, piena di difficoltà e privazioni,
imparò a essere paziente e a controllare i suoi impulsi.
Prima di gestire una qualsiasi forma di autorità, doveva imparare
a ubbidire. Per poter essere il portavoce di Dio per il popolo d’Israe-