Pagina 177 - Patriarchi e profeti (1998)

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L’esilio di Giacobbe
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tutti i suoi benefizi son sopra me” (
Salmo 116:12
).
Il nostro tempo, le nostre capacità, i nostri beni, devono essere
consacrati a colui che ci ha offerto queste benedizioni perché le
amministriamo. Una liberazione speciale realizzata in nostro favore,
dei benefici nuovi e inattesi dovrebbero farci riconoscere la bontà
di Dio; la nostra gratitudine deve essere espressa non solo a parole
ma anche, come fece Giacobbe, tramite doni e offerte per la sua
opera. Infatti, mentre riceviamo le benedizioni di Dio dobbiamo,
continuamente, donare qualcosa.
“Di tutto quello che tu darai a me” disse Giacobbe “io, certamen-
te, darò a te la decima” (
Genesi 28:22
). Noi che possiamo godere
della completa rivelazione del messaggio del Vangelo potremo esse-
re soddisfatti di offrire a Dio meno di coloro che avevano ricevuto
una conoscenza parziale? Dal momento che godiamo di maggiori
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benedizioni, i nostri obblighi non aumentano forse in maniera pro-
porzionata? Come sono miseri i nostri calcoli! È del tutto inutile
sforzarsi di misurare con criteri matematici il tempo, il denaro e la
dedizione e contrapporli a un amore così grande, a un dono di valore
inestimabile. Delle decime per il Cristo: che ricompensa miserabile
per un sacrificio infinito! Dalla croce del Calvario, il Cristo ci richie-
de una consacrazione totale. Tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che
siamo, deve essere consacrato a Dio.
Con una fede nuova e salda nelle promesse divine, rassicurato
dalla presenza e dalla protezione degli angeli, Giacobbe continuò
il suo viaggio “... e andò nel paese degli Orientali” (
Genesi 29:1
).
Il suo arrivo fu molto diverso da quello del messaggero di Abramo,
avvenuto quasi cento anni prima. Il servo vi era giunto con un
seguito, su dei cammelli, con ricchi doni d’oro e argento; il figlio
di Isacco invece era solo, un semplice viandante con un bastone
come unica proprietà. Come il servo di Abramo, Giacobbe si fermò
accanto a un pozzo e lì incontrò Rachele, la figlia minore di Labano.
Questa volta fu Giacobbe che rese un servizio: rotolò la pietra del
pozzo e fece abbeverare il gregge; svelò quindi la sua parentela e
fu accolto nella casa di Labano. Sebbene egli fosse giunto inatteso
e senza dote dopo poche settimane, in cui egli dimostrò serietà e
un’abilità notevoli, gli fu chiesto con insistenza di rimanere e fu
stabilito che avrebbe lavorato sette anni per Labano in cambio della
mano di Rachele.