Pagina 204 - Patriarchi e profeti (1998)

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Patriarchi e profeti
e le nostre parole: di esse dovremo rendere conto personalmente.
Se fossimo davvero consapevoli di questo avremmo maggiori scru-
poli nel peccare. I giovani ricordino sempre che ovunque siano e
qualunque cosa facciano, sono sempre in presenza di Dio. A lui
non sfugge nessun particolare del nostro comportamento. Nulla può
essere nascosto all’Altissimo. Le leggi umane, anche se a volte pos-
sono essere severe, spesso vengono trasgredite impunemente. Ciò
non avviene per la legge di Dio: il trasgressore infatti non sarà pro-
tetto neppure dalle tenebre più oscure. Potrà immaginare di essere
solo, ma testimoni invisibili vedranno le sue azioni. Dio conosce le
profonde e intime motivazioni di ognuno. Ogni gesto, ogni parola,
ogni pensiero sono registrati come se esistesse soltanto una persona
in tutto il mondo: Dio osserva ogni uomo con grande attenzione.
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Giuseppe soffrì per preservare la sua onestà; la donna che lo
aveva tentato si vendicò accusandolo di un delitto vergognoso e
facendolo gettare in prigione. Se Potifar avesse creduto alle accuse
della moglie il giovane ebreo avrebbe perso la vita, ma la semplicità
e l’onestà che lo avevano sempre distinto erano la prova della sua
innocenza. Tuttavia, per salvare la reputazione del suo padrone, egli
venne abbandonato al disonore e alla schiavitù.
Inizialmente Giuseppe fu trattato con molta durezza dai carce-
rieri. Il salmista afferma in proposito: “I suoi piedi furon serrati nei
ceppi, ei fu messo in catene di ferro fino al tempo che avvenne quello
che avea detto, e la parola dell’Eterno, nella prova, gli rese giustizia”
(
Salmo 105:18, 19
). Ma il vero carattere di Giuseppe risultò evidente
perfino in quell’oscura prigione. Il suo lungo e fedele servizio presso
Potifar era stato crudelmente ricompensato, ma egli non si scoraggiò
né provò rancore e conservò un atteggiamento fiducioso e paziente.
Lo sosteneva quella serenità che viene dalla consapevolezza della
propria innocenza. Giuseppe si era affidato alla potenza di Dio. Non
si commiserava per le sue disgrazie, ma dimenticava la tristezza
offrendosi di alleviare le sofferenze altrui. Perfino in prigione egli
svolgeva un ruolo positivo. Dio lo stava preparando attraverso la
sofferenza, in vista di una grande missione. Giuseppe non rifiutò
quella lezione indispensabile. In carcere si rese conto delle tristi
conseguenze dell’oppressione, della tirannia e dei delitti. Tutto ciò
gli insegnò la necessità di praticare la giustizia, la comprensione e
la misericordia e lo preparò a esercitare il potere con saggezza e