Giuseppe in Egitto
203
41:17-24
).
“... Ciò che Faraone ha sognato è una stessa cosa” disse Giusep-
pe. “... Iddio ha significato a Faraone quello che sta per fare” (
Genesi
41:25
). Ci sarebbero stati sette anni di grande abbondanza: i campi
e gli orti avrebbero prodotto come mai prima, ma a questo periodo
sarebbero seguiti sette anni di carestia. “... E tutta quell’abbondan-
za sarà dimenticata nel paese d’Egitto, e la carestia consumerà il
paese” (
Genesi 41:30
). La ripetizione del sogno era un segno del
sicuro e prossimo adempimento. “Or dunque” continuò Giuseppe
“si provveda Faraone d’un uomo intelligente e savio e lo stabilisca
sul paese d’Egitto. Faraone faccia così: costituisca dei commissari
sul paese per prelevare il quinto delle raccolte del paese d’Egitto,
durante i sette anni dell’abbondanza. E radunino essi tutti i viveri di
queste sette buone annate che stan per venire, e ammassino il grano
a disposizione di Faraone per l’approvvigionamento delle città, e lo
conservino. Questi viveri saranno una riserva per il paese, in vista
dei sette anni di carestia” (
Genesi 41:33-36
).
L’interpretazione era così plausibile e coerente e i provvedimenti
proposti per risolvere la crisi così validi e saggi, che il Faraone non
sollevò alcun dubbio circa la sua attendibilità. Ma a chi affidare
l’esecuzione del piano? Da questa scelta dipendeva la salvezza del
paese. Il re, preoccupato, rifletté a lungo sulla nomina. Dal capo dei
coppieri aveva saputo della saggezza e della prudenza manifestate
da Giuseppe nella gestione della prigione; egli possedeva chiare
qualità amministrative. Il coppiere, pentito per l’ingratitudine di-
mostrata in precedenza, cercò di riscattarsi elogiando ripetutamente
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il suo benefattore. Un’ulteriore inchiesta ordinata dal re dimostrò
la correttezza del suo rapporto. In tutto il regno Giuseppe era stato
l’unico a possedere la saggezza necessaria per avvertire la nazione
del pericolo che la minacciava e un’accortezza tale da suggerire
i preparativi indispensabili per affrontarlo. Il sovrano si convinse
quindi che il giovane ebreo era veramente la persona più adatta a
realizzare il piano da lui stesso ideato. Una potenza divina lo guidava
e questo lo rendeva più idoneo di qualsiasi ufficiale del regno ad
amministrare una saggia politica in vista della crisi. Il fatto che fosse
ebreo, e per di più schiavo, aveva scarsa importanza in rapporto
alle sue evidenti capacità e alla sua saggezza. Il faraone disse ai
consiglieri “... Potremmo noi trovare un uomo pari a questo, in cui