Capitolo 25: L’esodo
Tutto era pronto per la partenza. Il popolo d’Israele, con i sandali
ai piedi e il bastone in mano, aspettava con timore, in silenzio, l’or-
dine del faraone. Prima dell’alba, gli ebrei erano già in viaggio. La
potenza che Dio aveva manifestato attraverso le piaghe, aveva acceso
la fede nei cuori degli schiavi e riempito di terrore gli oppressori.
Gli israeliti si erano riuniti nella terra di Goscen. Sapendo di dover
fuggire all’improvviso, essi si erano già organizzati perché l’esodo
dall’Egitto avvenisse in modo ordinato: l’immensa folla fu divisa in
squadre, dirette da responsabili designati.
Partirono “... in numero di circa seicentomila uomini a piedi,
senza contare i fanciulli. E una folla di gente d’ogni specie salì
anch’essa con loro...” (
Esodo 12:37, 38
).
In questa folla, non vi erano soltanto persone animate dalla fede
nel Dio d’Israele, ma anche degli opportunisti, il cui principale inte-
resse era evitare le piaghe. Altri erano spinti semplicemente dalla cu-
riosità o dal desiderio di avventura. Questi elementi rappresentarono
sempre un pericolo e un impedimento per gli israeliti.
Il popolo prese con sé anche “... greggi, armenti, bestiame in
grandissima quantità” (
Esodo 12:38
). A differenza degli egiziani, gli
ebrei non avevano venduto le loro proprietà al sovrano. Giacobbe e i
suoi figli avevano portato in Egitto i loro greggi e le loro mandrie,
che là si erano moltiplicati notevolmente. Prima di lasciare l’Egitto,
il popolo chiese una ricompensa per il suo lavoro, che non era mai
stato pagato; gli egiziani, impazienti di farlo partire, accettarono
la richiesta. Così gli schiavi partirono con le ricchezze dei loro
oppressori.
In quel giorno si realizzò la profezia che era stata rivelata ad
Abramo in visione, quattrocento anni prima: “... Sappi per certo che
i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non
sarà loro, e vi saranno schiavi, e saranno oppressi per quattrocento
anni; ma io giudicherò la gente di cui saranno stati servi; e, dopo
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